La vita segreta delle città - Murubutu

Murubutu

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Un album non è soltanto una lista di canzoni che si susseguono, così come non è (o non dovrebbe essere) una sequenza di brani organizzata al fine di accattivare e non annoiare l’orecchio dell’ormai distratto ascoltatore.

Cosa è, allora, un album? La risposta ce la dà, per l’ennesima volta, Murubutu: un’idea che prende forma e si specifica in tanti piccoli atti, in canzoni che traggono origine dalla stessa materia e la modellano in tante forme diverse.

La vita segreta delle città”, come lo stesso Alessio Mariani ha dichiarato “nasce dal vedere la città come un organismo senziente, che influenza il destino degli uomini ed è espressione di tutte le contraddizioni popolazioni invisibili che sono l'anima della città.” (qui).

La nostra guida all’ascolto, la nostra chiave di lettura, allora, sarà proprio l’immagine di una città pulsante, brulicante di vita e di caos, di luci, rumori e storie.

Certo, ogni ascoltatore avrà in sé l’immagine della “propria” città, forgiata e costruita dalle proprie esperienze; ma la voce narrante, come guida in un museo, ci accompagnerà nel viaggio indicandoci i luoghi di interesse.

Seppur la tentazione sia tanta, però, non è questo il contesto per “raccontare” ogni singolo capitolo di questa opera. Per quello vi lascio all’ascolto.

Le prime due canzoni meritano, a mio avviso, un’eccezione: fin dal primo ascolto è stata forte la sensazione di collegamento tra le due, quasi come fossero il primo e il secondo tempo della stessa storia, con l’intervallo tra i due che dura secoli.

Ne “La città degli angeli”, il primo brano, l’autore ci descrive una città vista da lontano, da un osservatore esterno che ne osserva il caos che si ripete giorno dopo giorno. Egli, però, non è un semplice turista: si cala dall’alto con la missione di portare via quella che, come ci confesserà in seguito, è l’unica donna che lo illumina all’ombra.

Ed è per questo che il nostro angelo della morte, giunto in città per mietere un’anima, decide di fermarsi, rinuncia alle sue ali e si chiede se basti un semplice salto per raggiungere lei, l’unica in grado di fargli provare dei sentimenti.

Ciò sembra non bastare, visto che nell’outro il nostro angelo caduto intravede un’altra città, chiedendosi se essa conviva con quella in cui c’è Lei.

Ne “La vita segreta”, invece, l’autore narra di due anime che si rincorrono e si ritrovano, tra una vita e l’altra, ogni volta in una città diversa, ogni volta con sembianze e identità diverse.

“Ed ogni volta ti vedo e sei sempre uguale, è cambiato solo corpo e il colore degli occhi” è un verso fortemente evocativo, che richiama l’eternità dell’anima e della sua vera essenza. Richiama il susseguirsi di vite che si intrecciano nelle ere, con spiriti affini che si cercano e si ritrovano nell’infinità dello spazio-tempo.

Mi piace pensare che le due anime raccontate dolcemente e nostalgicamente nel brano siano le stesse de “La vita segreta delle città”, che si sono perse solo temporaneamente nel primo atto.

Musicalmente parlando, anche grazie al feat. con Erica Mou, la canzone è una di quelle, a mio avviso, più interessanti di tutto il progetto.

In “Grande Città”, la metropoli è rappresentata come un’idea, un sogno lontano di chi si sente oppresso da piccole realtà e sogna la vita mondana, anelando le infinite possibilità che un grosso centro abitato sembra offrire.

E questo sogno è in grado di separare persone, funge da elemento polarizzante: la città la ami o la odi.

Se appartieni alla seconda categoria, essa ti appare come un insieme freddo di abitazioni, rumori, palazzi virtuali nei quali l’umanità non è presente.

In “Minuscola” l’idea della città si concretizza nel sogno di una vita migliore, nel considerare le metropoli il centro del mondo, nel quale tutto è possibile.

Il richiamo di questa utopia è irresistibile.

E mi scuserete, se cito soltanto, senza aggiungere nient’altro:

“Così Yaguine e Fodè, che erano bravi studenti, ma in scuole senza la luce, in classi da centoventi. E adesso al freddo e nel buio, su a diecimila metri hanno una lettera chiusa da portare all'UE” “E li trovarono all'alba, erano appena atterrati, in fondo, dentro l'aereo, i loro corpi ghiacciati Loro due clandestini, con i sogni di tanti, poco più che bambini con i sogni giganti”.

“La vita segreta delle città” prosegue con l’esplorazione delle strade di Parigi, accompagnati dal suono dolce di tromba della magica base di “Flaneur”, per passare a una tromba che fraseggia energicamente sulla base old schooleggiante di “Megalopoli”, sulla quale surfa sapientemente il solito ineccepibile Alborosie, che ci trasporta direttamente dentro un barrio di una metropoli sudamericana.

Mentre “Nora e James si incontrano inaspettatamente per le strade di Dublino, in un brano che allenta un po’ il ritmo, Dj Caster con cattiveria (o meglio, con Kattiveria) sapiente ci riporta alla brutalità della realtà: ne “il deserto di NYC” la città è spietata, fredda e ostile, un luogo dal quale scappare fisicamente o, come più spesso capita, solo con la mente, mentre il corpo rimane su di una panchina incosciente, con un laccio emostatico al braccio.

Le storie cittadine si susseguono, tra toni più rilassati e leggeri, come in “Vicoli” e “Saudade”, in cui la città fa da protagonista e da contesto; e toni più cupi, con la città che diventa oggetto di bramosia, obiettivo principale di battaglie e conquiste, come ne “La Caduta di Costantinopoli” (e, con essa, dell’Impero Bizantino).

O, ancora, si prosegue con temi più futuristici, come in “451”, nel quale Murubutu e Danno ci trasportano direttamente in un futuro (distopico?) nel quale viene punito chi studia e legge.

Gli ultimi tre brani ci accompagnano verso la fine dell’opera in maniera un po’ più soave, anche se sempre melanconica: da chi avrebbe voluto esplorare il mondo ma si ritrova circoscritto nello stesso quartiere a chi, invece, parte per andare al di là del mare, in un altro mondo, lasciando ricordi e persone che sognano, un giorno di rivedersi.

In conclusione, “La vita segreta delle città” è un album, un album vero.

Certo, ci si potrebbe addentrare in analisi settoriali, approfondendo lo studio sapiente delle basi e la loro capacità di dettare il mood del brano; si potrebbe parlare dei featuring al posto giusto, tutti in grado di interpretare il brano e di contribuire a rendere viva la loro idea di città; si potrebbe anche parlare dei testi in grado di prendere per mano e accompagnare l’ascoltatore verso mete oniricamente reali; La verità è, però, che in un album vero come questo tutto funziona talmente tanto bene insieme da rendere superfluo tutto ciò. La città è viva, onnipresente quasi per magia nell’interezza dell’opera. Una presenza che, nel bene o nel male, è protagonista obbligata di ogni storia narrata, di ogni esperienza, di ogni sogno e di ogni incubo.

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Credit by: @viking_vinz